Introduzione
Era il 1995 quando James Cameron pensò di produrre un film basato sulla storia d’amore tra un ussere umano e un’aliena. Per renderla credibile, però, sarebbe stato necessario ricostruire da zero, e virtualmente, un intero mondo e farlo vivere in prima persona agli spettatori. Un progetto faraonico per i tempi dal punto di vista economico e impossibile da quello tecnologico. Cameron voleva il 3D, effetti speciali allo stato dell’arte e la possibilità di ricreare virtualmente una razza inesistente nella realtà.
Cameron veniva già da diversi successi, come i due Terminator, Aliens, Abyss, True Lies. Era nel 1995 uno dei registi sulla cresta dell’onda, anche se era considerato principalmente come un regista da film d’azione. Per quel film sulla storia d’amore tra umano e aliena aveva bisogno di un finanziamento imponente, oltre che dell’infrastruttura tecnologica: insomma, i tempi non erano abbastanza maturi. Decide quindi di concentrarsi su un’altra grossa produzione, più facile per certi versi, che avrebbe dato sfogo alla sua passione per le riprese subacquee.
Titanic usciì nel 1997 e fu il secondo film a vincere 11 premi Oscar (il primo fu Ben Hur). Per produrlo sono serviti 200 milioni di dollari, ma il film ha incassato oltre 1,8 miliardi di dollari in tutto il mondo. Un simile successo apriva le porte al sogno di Cameron, sul quale riprese dunque a lavorare.
Per raggiungere quel sogno, però, Cameron ha dovuto letteralmente inventare un complesso di tecnologie, oltre che spingere le sale cinematografiche di tutto il mondo a riattrezzarsi per consentire agli spettatori di fruire dell’esperienza in 3D e in prima persona. Avatar, dunque, è una produzione che non ha precedenti sul piano tecnologico, oltre che dal punto di vista di marketing visto che ha coinvolto attivamente e gli esercenti cinematografici, che hanno dovuto riadattare le sale, e gli spettatori, “portati” a vivere lo spettacolo in prima persona.
Titanic nel 1997 era il film più costoso di sempre, con 200 milioni di dollari di budget, e ovviamente Cameron non aveva la minima idea sulla resa economica del film: non era assolutamente scontato che raggiungere il punto di pareggio. Con Avatar il discorso è analogo, ma con cifre raddoppiate e più, visto che produrre il film è costato circa 500 milioni di dollari. È un Cameron diverso dal ’97, perché ha alle spalle il successo di Titanic che gli dà sicurezza e la possibilità di sperimentare, ma quella di Avatar è una nuova sfida con la S maiuscola.
“Ed ecco l’idea di gioco secondo Cameron: immersioni subacquee in Micronesia, a profondità inesplorate, nei pressi di relitti risalenti alla seconda guerra mondiale”, si legge in questo interessante articolo di Joshua Davis sulla genesi di Avatar, pubblicato da Wired. “Nell’estate del 2000 aveva noleggiato un’imbarcazione di 25 metri per tuffarsi con un gruppo di persone fino a raggiungere una flotta di navi da guerra giapponesi inabissate. Aveva portato con sé Vincent Pace, uno specialista di riprese subacquee con cui aveva lavorato per Titanic e Abyss. Pace, sperando di fare esperimenti con la sua videocamera ad alta definizione, si era preparato con tutta l’attrezzatura, ma ben presto aveva cominciato a sospettare che il regista avesse in mente dell’altro”.
“Stavano guardando le riprese di una giornata di immersioni quando Cameron se ne esce con una domanda a Pace: cosa serviva per costruire “il sacro graal di tutte le videocamere”, un apparecchio ad alta definizione per lungometraggi in due e tre dimensioni? Pace non ne era sicuro. Non era un esperto, conosceva solo quegli occhialetti rossi e blu da due soldi che si usavano per i film in 3D convenzionali. Erano notoriamente scomodi e le immagini potevano provocare dei gran mal di testa, se i proiettori non erano calibrati alla perfezione. Cameron era convinto che ci dovesse essere un modo per fare di meglio. Quello che gli interessava davvero era esporre la sua visione delle videocamere di nuova generazione: manovrabili, digitali, ad alta risoluzione e in 3D. Inventare una telecamera del genere non sarebbe stato facile, ma il regista si sentiva pronto a esplorare nuovi territori per un misterioso progetto cinematografico a lunga gestazione che avrebbe portato gli spettatori su un pianeta alieno”.
James Cameron ha ideato una nuova telecamera per garantire la migliore resa visiva in funzione degli effetti speciali e del 3D, come vedremo meglio nella pagina successiva. Questa nuova tecnologia non è stata usata per la prima volta in Avatar, visto che Cameron ha lasciato che qualche suo collega la testasse prima di usarla nel suo progetto più importante. Il primo è stato Robert Rodriguez, che ha girato con questo metodo Missione 3-D: Game over.
A questo punto Cameron si rivolge direttamente ai proprietari delle sale e nel marzo 2005 si presenta alla convention annuale degli esercenti cinematografici americani, dove annuncia che il mondo sta per entrare «in una nuova era del cinema». La mancanza di sale in 3D non era però l’unico ostacolo sulla strada di Avatar. Cameron, infatti, voleva anche ricreare da zero un’intera razza con specifiche usanze, determinate movenze e un modo di interpretare la vita diamentralmente opposto a quello degli umani, con i quali sarebbe entrata in contatto.
Il momento in cui capisce che anche questo problema è superabile coincide con l’uscita nelle sale del primo Il Signore degli Anelli, in cui un personaggio virtuale, Gollum, viene ricostruito da zero basandosi sulle movenze catturate tramite Motion Capture dell’attore Andy Serkis. Quegli effetti speciali sono curati da una società appositamente fondata da Peter Jackson, regista della serie de Il Signore degli Anelli, che ha sede a Wellington, in Nuova Zelanda. È a loro che Cameron si rivolge per Avatar.
Nel corso dell’articolo proponiamo anche l’intervista a Marco Di Lucca, modellatore italiano che ha lavorato per la creazione di Avatar che ci spiega tutti i passaggi della creazione del film e il suo ruolo nei lavori. Marco è nato a Piedimonte Matese, in provincia di Caserta, nel 1973 e prima di Avatar ha lavorato su King Kong, X-Men 3: The Last Stand, Eragon. Dal 2005 ha fatto parte di Weta Digital, ma adesso sta lavorando in Gran Bretagna sul nuovo progetto del regista di Alla Ricerca di Nemo e Wall-E.
Nella primavera del 2005 Cameron ottiene dalla Fox un investimento iniziale di 195 milioni di dollari e affianca a Weta Digital l’Industrial Light&Magic di George Lucas. Ha un finanziamento importante alle spalle, tecnologia all’avanguardia e le due società più esperte al mondo sugli effetti speciali. Un potere praticamente sconfinato è nelle mani di Cameron quando si siede sulla sedia da regista per iniziare a riprendere Avatar. È il primo regista che può creare come vuole lui un intero mondo e un’intera razza.
Quanto alla trama, nel 2154, gli uomini scoprono Pandora e intendono conquistarlo per sfruttarne le risorse minerarie. Pandora è ricoperto da foreste pluviali e abitato da creature di tutti i tipi, tra cui degli umanoidi senzienti chiamati Na’Vi. L’aria su Pandora non è respirabile dagli esseri umani, per cui sperimentano un sistema tecnologicamente avanzato che consente di creare ibridi tra umani e Na’Vi, ovvero gli avatar. Per sconfiggere le resistenze dei Na’Vi gli umani infiltrano presso di loro alcuni avatar, tra cui il protagonista Jake. Tuttavia, accade qualcosa di non previsto e Jake entra in empatia con gli stessi Na’Vi, fino a provare un forte sentimento per una di loro, Neytiri. Questo è il punto di partenza di una furiosa ribellione che vede i Na’Vi fortemente agguerriti per difendere la propria indipendenza.
L’avatar è un’immagine che l’utente sceglie per rappresentarsi nelle comunità virtuali on-line. La parola deriva dal sanscrito ed è originaria della tradizione induista, nella quale ha il significato di incarnazione, di assunzione di un corpo fisico da parte di un dio.
Avatar è il film con i maggiori incassi nella storia del cinema, avendo superato proprio Titanic nelle scorse settimane. Nel momento in cui scriviamo ha raggiunto la cifra di $2,048,453,037 di incassi in tutto il mondo. L’Academy gli ha assegnato nove candidature per i premi Oscar nelle seguenti categorie: film, regia, fotografia, montaggio, direzione artistica, colonna sonora originale, sonoro, montaggio del sonoro, effetti speciali. Si parla già di due seguiti per Avatar, che sarebbero giustificati dall’investimento per la tecnologia che è stato fatto, oltre che dalla grandezza dell’universo pensato da Cameron. Avatar 2 e 3 sono stati indirettamente confermati da Cameron in alcune interviste.
Riprese
Per Avatar, Cameron ha rivoluzionato il modo di fare le riprese. Molte delle incombenze che solitamente sono assegnate alla fase di post-produzione, infatti, sono state risolte in contemporanea alla fase di ripresa. Molte delle virtualità digitali che necessitavano un’elaborazione per essere viste e maneggiate grazie alla nuova tecnologia possono essere gestite in tempo reale. Grazie alla tecnologia Simulcam, di cui parleremo diffusamente nei prossimi paragrafi, è possibile ottenere immediatamente il risultato delle riprese in Performance Capture.
La maggior parte delle riprese sono state realizzate tra le Hawaii e Los Angeles. Quelle legate agli effetti speciali sono state prodotte negli studi di Weta Digital. Le principali riprese di Avatar, quelle delle scene ambientate su Pandora, si sono svolte in un grande magazzino svuotato e riempito di pareti verdi e sensori. Tutto è sistemato in modo che le camere puntate sugli attori (che indossano tute anch’esse piene di sensori) possano mostrare in tempo reale al regista una versione in bassa qualità dei personaggi digitali che si muovono come gli attori nell’ambiente virtuale. Così Cameron dirige le scene vedendo subito il risultato.
James Cameron ha ideato una nuova telecamera per garantire la migliore resa visiva in funzione degli effetti speciali e del 3D. Questa nuova macchina da presa è dotata di due obiettivi capaci di girare immagini in alta definizione e separatamente per ogni obiettivo. In questo modo gli obiettivi simulano il comportamento del sistema visivo umano: infatti, la distanza tra i due obiettivi e la medesima di quella tra gli occhi umani. Per fare ciò Cameron ha brevettato un sistema di ripresa chiamato Fusion 3-D Camera System ottenuto mettendo insieme due Sony HDCF950 HD. Cameron ha convinto Sony a ratificare il nuovo sistema.
Un altro punto molto importante della rivoluzione di Cameron è una nuova tecnica chiamata Simulcam. Infatti gran parte del girato è basato sull’adozione della Performance Capture degli attori i cui movimenti corporei risultano generati in tempo reale sulla riproduzione virtuale della scena attraverso le tute da Motion Capture indossate dagli attori. E qui entra in gioco la Simulcam che consente di sovrapporre in tempo reale le riprese in Performance Capture con vere e proprie sequenze in live-action. Ad esempio, se una scena prevede un personaggio reale e uno virtuale su un background alieno, è possibile fornire in tempo reale al regista una ripresa in tempo reale ed in perfetto sincrono con la camera principale con i due personaggi, quello reale e quello virtuale.
È stata adottata anche una nuova tecnica per quanto riguarda le espressioni facciali dei personaggi. Tutti gli attori sono equipaggiati con un braccio rigido attaccato al loro corpo sulla cui estremità è montata una telecamera che riprende i movimenti e le espressioni del viso.
Le fasi di ripresa vera e propria sono due. Inizialmente vengono catturati i movimenti degli attori, sul cui corpo sono stati piazzati dei led che emanano una luce infrarossa che viene registrata da alcune telecamere poste in specifici punti del magazzino. I dati di queste telecamere aggregati restituiranno con precisione il movimento tridimensionale. I led sono applicati sul corpo degli attori (Motion Capture) e anche sul loro volto (Performance Capture). Il sistema, come detto, opera in tempo reale, in modo che Cameron possa vedere immediatamente il risultato delle riprese e apportare delle correzioni se desidera, o rigirare la scena.
Quello che Cameron vede è un framework digitale con dei marcatori che gli permettono di capire la posizione degli attori all’interno della scena. Uno degli strumenti più potenti che la tecnologia gli mette a disposizione è di mofidicare la posizione dei marcatori posti sui volti e di generare in questo modo in maniera dinamica tipi di espressione che nella realtà non sono stati eseguiti dagli attori. Ma quest’ultima possibilità non è mai stata esercitata da Cameron, perché non ha voluto perdere la naturalezza della recitazione degli attori.
Il sistema, attraverso specifici algoritmi, realizza i movimenti muscolari unendo le curve generate dai marcatori. Solo completata questa fase si ottiene una struttura poligonale per i vari personaggi, a cui vanno applicati ulteriori filtri per rendere l’immagine più realistica, oltre che gli effetti di post-produzione.
La tecnologia di Motion Capture è capace di registrare le performance degli attori a 360 gradi, e questo consente agli attori di recitare anche se non hanno in quel momento idea di dove sia la camera. Inoltre, anche se nella versione finale del film risultano fortemente truccati o vestiti in costume non hanno bisogno di accorgimenti durante le riprese, e quindi sono più liberi nei movimenti.
Terminata la prima fase, gli attori escono dalla scena e vengono registrati gli sfondi. Cameron in questi frangenti è operatore diretto di una videocamera che contiene i dati tridimensionali della scena. Se nella realtà il regista è dentro un magazzino, nel mondo virtuale è all’interno di Pandora. Il regista muovendosi con la camera in braccio si sposta nella scena e la vede nel visore digitale come se stesse guardando dall’obiettivo. In questo modo il suo tocco, il suo stile e il suo modo di guardare ai personaggi rimane intatto e si crea anche continuità con le immagini con attori in carne ed ossa girate normalmente, poichè anche in quel caso è Cameron l’operatore. Nell’opera finale, lo stile di Cameron è ben evidente, con alcuni movimenti della camera che ricordano quelli dei film precedenti, come Titanic e Terminator.
Finito tutto le immagini, i movimenti, le decisioni e le impressioni di Cameron vanno a Weta che ha solo il compito di rendere il tutto credibile, cioè rendere le immagini in CG complesse, raffinare i dettagli e, in sostanza, affinare la risoluzione e le illuminazioni. Ma di questo parleremo diffusamente nella prossima pagina.
Effetti speciali: la giungla
Con Avatar James Cameron ha inteso principalmente riprodurre un intero mondo che ha propri equilibri, che è governato da precise regole e che è popolato da specie che intrattengono tra di loro precisi rapporti di forza. Per rendere il mondo virtuale sono servite tante tecnologie, che messe tutte insieme possono essere paragonate a un tradizionale motore grafico per videogiochi. I sistemi di ottimizzazione e di interazione fra gli elementi del mondo sono speculari a quelli dei videogiochi.
Avatar ha una durata complessiva di 162 minuti, dei quali 117 sono stati realizzati dai tecnici e dai modellatori di Weta, la società con sede a Wllington, Nuova Zelanda, che è stata creata da Peter Jackson per i film della serie Il Signore degli Anelli. Quei 117 minuti si costituiscono di 1832 riprese realizzate interamente in virtuale da Weta.
La spettacolarità di Avatar e ciò che lo rende un film diverso da quelli a cui siamo abituati è la riproduzione del mondo in cui è ambientato, Pandora. Lo spettatore interagisce direttamente con Pandora, tanto che alla fine del film ha voglia di tornarci, di fare un’altra esperienza nella realtà virtuale. Una giungla realistica con alberi e foglie costituisce la maggior parte di Pandora, con l’erba mossa dal soffio del vento e con piante esotiche che imitano le piante reali. A tutto questo vanno aggiunti i personaggi, che devono avere un atteggiamento credibile e soprattutto esprimere delle emozioni.
I personaggi, ovvero i Na’Vi, sono blu e alti tre metri, sono umanoidi ma allo stesso tempo sono molto diversi dagli esseri umani, principalmente per le movenze. Quando si ragiona sul fatto che Pandora è un pianeta di enormi dimensioni, con fiumi e cascate e con altri fenomeni complessi, si coglie l’effettiva portata degli effetti speciali che sono stati necessari. E poi c’è il 3D.
Cameron ha personalizzato il mondo di Pandora fin nei minimi dettagli: ogni elemento sul mondo doveva avere un perché. Quindi, la maggior parte della vegetazione è stata disegnata a mano, con particolare attenzione soprattutto per gli alberi. I lunghissimi alberi di Pandora, infatti, sono i protagonisti principali della vegetazione del mondo e molte delle avventure dei due protagonisti si svolgono su di essi. Ogni albero è stato pensato in relazione alla vegetazione che lo circonda e al punto del terreno dove è situato.
La gestione della vegetazione è stata affidata a un sistema dedicato chiamato Massive. Una volta costruito il mondo vegetale in maniera dinamica con Massive, gli artisti e i modellatori di Weta hanno realizzato le singole piante e i singoli alberi. “È stato molto interessante: si può effettivamente vedere crescere una foresta in tempo reale con questa tecnologia”, dice Eric Saindon, supervisore degli effetti speciali per Avatar. Si è tenuto conto degli equilibri biologici: gli alberi più grandi, ad esempio, tolgono luce a quelli più piccoli impedendo che attorno a loro cresca altra vegetazione.
La sezione di Weta che si è occupata della riproduzione della giungla, Massive Department, ha lavorato per tre anni sulla vegetazione, sulle illuminazioni e sul rendering degli enormi scenari. “Abbiamo speso molto tempo per adattare il software di modellazione Maya in modo che James Cameron sapesse in qualsiasi momento su cosa stavamo lavorando e quale sarebbe stato il risultato finale dopo il rendering”, aggiunge Saindon. “Infine abbiamo usato XML per animare la giungla”. XML è un sistema per la gestione delle animazioni sviluppato internamente a Weta.
“Molte delle nostre tecniche di modellazione sono procedurali, abbiamo preparato una struttura ad albero che ci ha consentito di realizzare diverse varianti di piante e vegetazione per il terreno. Poi abbiamo costruito le dinamiche e le interazioni fra gli elementi della giungla”. Il risultato è che ci sono circa 2 mila varianti di piante e alberi che costituiscono le giungle di Pandora.
La vegetazione di Pandora ha anche una propria crescita determinata da specifiche regole. Inoltre, c’è un sistema per la gestione delle interazioni con i Na’Vi e con gli altri modelli che entrano in contatto con la giungla. Weta ha preparato uno script specifico per la gestione di queste interazioni: lo script gestisce in maniera diversa le piante dinamiche e quelle statiche. La maggior parte della giunga è composta da piante statiche per le quali non sono previste interazioni con i modelli, ma nel momento in cui una pianta entra in contatto con un modello lo script la rende dinamica e applica su di essa gli effetti dell’interazione con il modello.
Pandora è stata suddivisa in reticoli, ognuno dei quali è chiamato in azione a seconda di quello che succede nella scena da un software che è stato definito RnR. Ogni reticolo viene attivato da fenomeni come il vento o la turbolenza generata da un elicottero che sta atterrando o, ancora, da un’esplosione.
Che complessità ha il mondo di Avatar? Le piante più semplici sono composte da un numero di poligoni che va da mille a cinque mila, mentre quelle di media complessità sono composte da un numero di poligoni che va da 20 a 100 mila. Le piante della famiglia “fernRekA”, le più complesse, sono composte da 1,2 milioni di poligoni. Cifra considerevole: in modo da fare un paragone con il mondo dei videogiochi, si consideri che che Kratos, il personaggio protagonista di God of War III, ovvero uno dei giochi di ultima generazione, è composto da 20 mila poligoni.
Effetti speciali: illuminazione
La stessa attenzione riposta nel mondo si riscontra anche nella modellazione dei personaggi. Le loro emozioni sono rese nel mondo virtuale grazie al Performance Capture di cui abbiamo parlato nella parte dell’articolo che si riferisce alle riprese. “Abbiamo fatto in modo che ogni elemento dell’abbigliamento e gli stessi modelli dei personaggi fossero come nella realtà. Il problema che abbiamo incontrato si è verificato quando abbiamo messo i personaggi ultra-dettagliati all’interno della giungla perché quest’ultima sembrava troppo semplice in confronto ai primi, così abbiamo dovuto iniziare ad aggiungere poligoni e texture map dettagliate alla giungla”, ha detto Guy Williams della divisione effetti speciali.
Un’altra sfida ha riguardato le illuminazioni e i colori. La pelle blu dei Na’Vi e l’elevata saturazione cromatica delle piante e delle altre crature che popolano Pandora avevano reso le immagini di Avatar surreali. Pandora era troppo semplicistico rispetto a ciò che aveva in mente Cameron. Allora è stato usato il software Paint Effects per ridefinire le regole di illuminazione e avere colori più realistici. Per equilibrare i colori di Pandora, Cameron si è ispirato al principio della bioluminescenza, ovvero del fenomeno per cui alcuni organismi viventi emettono luce attraverso particolari reazioni chimiche, nel corso delle quali l’energia chimica viene convertita in energia luminosa.
Come è noto, Cameron è appassionato di fotografia subacquea e quindi ha impiegato molte delle sue conoscenze in questo campo per ridefinire gli equilibri cromatici del mondo di Avatar. Il team artistico di Weta ha quindi provato diversi tipi di combinazioni di colori e di illuminazioni in modo da trovare il miglior compromesso generale.
Capitolo illuminazioni. Due le alternative per gli artisti di Weta: le shadow map o un sistema interamente dinamico che aggirasse i limiti delle shadow map. Con la tecnica delle shadow map le ombre vengono create verificando se un frammento sia o meno visibile dalla sorgente di luce; proiettando questa informazione nello spazio di vista della camera (utilizzando una apposita texture) e confrontando le “profondità” si può verificare se un punto sia o meno illuminato e colorarlo di conseguenza. È una tecnica statica che funziona bene solo se la superficie della luce è un punto e non è sferica o complessa e che può generare artefatti.
Cameron e il team tecnico hanno quindi preparato un sistema di illuminazione dinamico che potesse garantire anche le self-shadows (le ombre proiettate dagli oggetti e dai personaggi su sé stessi), che calcolasse le occlusioni e che fosse efficiente in termini di quantità di calcoli. Weta ha svolto tutta una fase di preparazione in modo da avere delle immagini illuminate, high dynamic range images (HDRI), su cui basarsi. Per questa operazione è state realizzata una serie di riprese in Nuova Zelanda.
Il sistema calcola tutte le ombre e tutte le occlusioni per larghi ambienti, e poi usa le HDRI per gestire correttamente le illuminazioni. Il passo successivo è il rendering e soprattutto assicurarsi che il sistema computazionale possa eseguire i calcoli in maniera efficiente, senza perdere tempo in operazioni che poi non si traducono in un miglioramento della resa visiva. Sono state preparate delle armoniche sferiche per la gestone dell’illuminazione su tutti gli elementi che compongono Pandora e questo ha consentito di individuare la direzione dei raggi luminosi e di calcolare le occlusioni e la direzione delle illuminazioni in maniera efficiente e veloce.
È stato poi utilizzato un modello stocastico di ottimizzazione per diminuire la complessità poligonale degli oggetti distanti dall’inquadratura. Mentre gli alberi e gli altri oggetti in primo piano mantengono la qualità originale, quelli più distanti mantengono la sagoma originale ma sono composti da un numero di triangoli inferiore. Con questo metodo, un albero che normalmente sarebbe composto da un milione di poligoni viene ridotto a 20 o 30 poligoni.
Altra fase determinante per avere le splendide immagini della versione finale del film ha riguardato la risoluzione dei bug, e quindi il correggere le imperfezioni di ogni singolo frame. Una volta giunti alla fase conclusiva della preparazione del mondo di Avatar Cameron ha chiesto al team tecnico: “Quanti bug ci sono? Io ne vedo circa 20”. Il team tecnico ha risposto che in quel momento ce n’erano circa 20 mila. La controrisposta di Cameron è stata: “Ce ne sono 20 mila ma sembra ce ne siano 20”. Si tratta di imperfezioni quasi invisibili all’occhio, magari riguardanti una singola mosca, e spesso si verificano a grandi distanze rispetto all’occhio della telecamera. Ma tutte queste imperfezioni sono state vagliate singolarmente e corrette (magari sovrapponendo altri elementi della vegetazione nei punti su cui si erano riscontrati errori di rendering).
Genericamente quindi la creazione della scena si compone di tre componenti. Nella prima si applica il Performance Capture sui volti degli attori, nella seconda si renderizza quanto ottenenuto nella prima fase attraverso il sistema che abbiamo descritto in queste due pagine. Infine, nell’ultima fase si aggiungono gli effetti in post-processing, si migliora il dettaglio dell’immagine applicando un nuovo filtro e si sistemano i bug. Tutti gli elementi del mondo di Avatar sono in tre dimensioni, così anche il fumo, l’acqua e le esplosioni sono volumetrici.
Per tradurre le informazioni matematiche in immagini occorre fare il rendering, procedura che richiede un’enorme potenza di calcolo. Il rendering delle immagini virtuali di Avatar è stato fatto nella render farm di Weta. È un edificio di 10 mila metri quadrati che si trova a Wellington, in Nuova Zelanda, e che è stato aggiornato per l’ultima volta nel 2008. Contiene più di 4 mila sistemi HP BL2×220c di tipo blade collegati da una rete Ethernet a 10 GB e che usano soluzioni di storage fornite da BluArc e NetApp. Nella classifica dei 500 supercomputer più potenti al mondo occupa le posizioni che vanno dalla numero 193 alla numero 197.
“In questo film non abbiamo usato quasi nessuna soluzione statica, abbiamo ricreato un mondo tridimensionale e lo abbiamo renderizzato”, aggiunge Saindon. “Abbiamo spinto in avanti gli effetti dinamici rispetto agli altri film. Non abbiamo usato immagini reali e non abbiamo mai usato dei particolari accorgimenti”.
Proiezione
Avatar fa uso di tecnologia di proiezione stereoscopica tridimensionale. La tecnologia richiede che lo spettatore indossi degli occhiali con lenti a polarizzazione circolare o degli occhiali attivi che richiedono la sincronizzazione con le immagini proiettate. Per simulare l’effetto tridimensionale della vista umana, il sistema prevede la ripresa per una stessa scena di due fotogrammi: uno rappresenta quella scena vista dall’occhio destro, l’altra dall’occhio sinistro.
Successivamente i singoli fotogrammi vengono proiettati in sequenza da un singolo proiettore con un filtro polarizzatore, comandato elettronicamente, montato davanti la lente. Per evitare sfarfallii dell’immagine, la velocità di proiezione è due volte maggiore della normale proiezione cinematografica. La frequenza di proiezione è quindi di 120 Hz.
Sono tre le principali sfide del 3D: la resa dei colori, l’efficienza luminosa e l’effetto ghosting, ovvero le scie delle sagome in caso di movimenti repentini. L’uso degli occhialini, infatti, taglia l’85% di luminosità. Le tecniche per la proiezione di immagini 3D in movimento si basano su tre sistemi: anaglifo, due immagini filtrate con due colori diversi vengono discriminate da occhiali con filtraggio complementare; sistema a lenti polarizzate, due immagini proiettate in rapida sequenza su di un apposito schermo riflettente vengono discriminate da occhiali dotati di lenti polarizzate orientate ortogonalmente l’una rispetto all’altra; sistema a oscuramento alternato, le due immagini vengono proiettate in rapida sequenza (attualmente a 48 o anche 114 frame al secondo contro i 24 frame del cinema tradizionale 2D) e vengono discriminate da occhiali dotati di otturatori sincronizzati.
I tre marchi che producono gli occhialini 3D con cui più frequentemente ci si imbatte al cinema sono: Dolby 3D Digital Cinema, passivi; RealD 3D, passivi; XpanD, attivi. La differenza tra occhiali 3D passivi e attivi è che i primi non hanno bisogno di sincronizzazione, mentre i secondi sono sincronizzati, solitamente attraverso un emettitore a raggi infrarossi presente nella sala.
Gli occhiali Dolby 3D Digital Cinema sono occhiali passivi non polarizzati e non elettronici. Hanno un ghosting minore rispetto alle altre due soluzioni, ma la luminosità è inferiore a quella degli altri due sistemi. Real D offre il vantaggio sul prezzo, gli occhiali sono usa e getta e sono facili da gestire. Questa tecnologia usa il silver screen, e questo rischia di compromettere la visione fuori dall’angolo ideale, oltre che generare un effetto ghosting maggiormente marcato.
Occhiali Dolby 3D Digital Cinema
Dunque, gli occhiali Dolby 3D sono costosi, mentre quelli Real D sono più agevoli da maneggiare, poco costosi e quindi usa e getta. Nel caso della proiezione Real D, tuttavia, l’esercente deve installare un filtro, detto silver screen, che serve a mantenere la polarizzazione (che può essere comunque lasciato anche nel caso delle proiezioni 2D). Il Dolby 3D, invece, usa il canonico schermo bianco.
Occhiali RealD 3D
Dolby 3D è basato sul concetto di scomposizione cromatica dell’immagine attraverso un sistema di filtri, mentre con la terza tecnologia, XpanD, le immagini sono proiettate alternativamente per i due occhi, senza scomposizione cromatica. In questo caso, per garantire la proiezione alternata, servono occhiali 3D attivi, la cui sincronizzazione con le immagini proiettate sullo schermo è regolata da un raggio a infrarossi proiettato da un apposito emettitore.
La tecnologia di XpanD quindi evita gli inconvenienti delle altre due: usa lo schermo bianco e non effettua correzioni cromatiche, inoltre ha una resa luminosa migliore. D’altronde comporta che dentro gli occhiali ci sia un meccanismo interno che regoli la sincronizzazione e quindi gli occhiali sono più delicati da maneggiare.
Occhiali XpanD
Veniamo ai proiettori. Al momento lo standard di proiezione più comunemente usato è Digital 2K, che opera alla risoluzione in alta definizione di 2048 x 1080 pixel. 2K costituisce al momento il miglior compromesso tra costi, luminosità dell’immagine e qualità.
I film digitali vengono creati realizzando la scansione digitale della pellicola da 35 mm e raccogliendo i dati in un file cinematografico DCP (Digital Cinema Package) per la distribuzione. Il metodo di distribuzione attualmente più utilizzato è un’unità hard disk portatile.
Attualmente, gran parte dei film vengono creati realizzando la scansione delle pellicole da 35 mm per creare file cinematografici a 2K. Negli ultimi anni, i principali studi cinematografici hanno adottato telecamere HD di alta qualità per la produzione di film di alto standard quali, ad esempio, Apocalypto, Sin City, Superman Returns, Miami Vice, Star Wars II e III, oltre che, ovviamente, Avatar. La migliore soluzione per vedere Avatar al cinema, secondo la nostra esperienza, è la sala Energia nel cinema Arcadia di Melzo (MI), con proiettore Digital 2K Christie e occhialini attivi XpanD.
È stato recentemente introdotto lo standard Digital 4K, alla risoluzione di 4096 x 2160 pixel. I proiettori Digital 4K, la cui unica soluzione al momento è la famiglia CineAlta 4K di Sony, non sono ancora efficienti come i proiettori Digital 2K, soprattutto dal punto di vista della luminosità in spazi ampi. Il primo sistema Digital 4K già funzionante in Italia presso il Multiplex Nexus di Corte Franca (BS) adotta la tecnologia RealD per proiezioni in 3D ed è operativo in due modalità: proiezioni 4K con ottica 2D e, grazie a un adattatore a doppia lente, proiezioni 3D in 2K.
A destra il formato Digital 2K, a sinistra Digital 4K |
D’altronde, RealD 3D non è l’unica tecnologia di proiezione per il cinema stereoscopico. Negli Stati Uniti è, infatti, molto diffuso lo standard Imax (in Italia ci sono due cinema Imax: uno a Riccione e uno a Taranto, ma vengono usati soprattutto per i documentari). I film in Imax utilizzano una pellicola che viene in gergo chiamata 15/70, visto che ha 15 perforazioni su un fotogramma di 70mm. Il negativo 15/70 ha una risoluzione teorica che può arrivare a 10.000 x 7.000 pixel, quindi decisamente superiore a quella dello standard Digital 4K.
Nata come tecnologia di proiezione per pellicola, Imax sta recentemente passando al digitale. Questo è possibile grazie alla tecnologia DMR (Digital Remastering) che consiste nel produrre un file che viene proiettato in 4K anche tradizionali pellicole 35mm. Nello specifico Imax Digital prevede l’utilizzo di due proiettori Digital 2K Christie e un server. I due proiettori sono utilizzati per aumentare la luminosità e le due immagini in arrivo ai proiettori vengono pre-processati dal server e sovrapposte per assicurare la massima qualità di visione possibile. Imax Digital è già pronto per il 3D.
Una variante dell’Imax, poi, è l’Omnimax, e la principale differenza riguarda lo schermo, che in questo caso ha forma emisferica: 270 gradi di visione con equidistanza da tutti i punti dello schermo all’obiettivo del proiettore. Questo comporta una diversa sistemazione delle cabine di proiezione: la cabina Imax non ha particolari differenze rispetto ad una cabina normale; la cabina di proiezione della sala Omnimax, invece, si trova sotto la sala, posizionata all’incrocio delle diagonali della stessa. Questo perché il proiettore, dopo essere stato caricato, si eleva fino a raggiungere il piano pavimento della sala stessa ed eseguire quindi la proiezione. L’Omnimax usa la stessa pellicola dell’Imax, ma l’immagine impressa nel fotogramma stesso è sferica, ovvero è un’immagine assimilabile ad un cerchio che viene poi riprodotta sullo schermo per mezzo di particolari obiettivi.
Il mondo
Come ha fatto George Lucas con la saga di Star Wars, Cameron ha ricreato un intero universo per Avatar. C’è una specifica lingua che parlano i Na’Vi ma ci sono anche specifiche regole che sottendono alla crescita del mondo, oltre che mezzi e armi con determinate peculiarità.
Uno dei primi passi nella creazione del mondo di Avatar è stato ingaggiare il linguista Paul Frommer, incaricato di inventare un idioma completamente nuovo per i Na’vi. “Il regista aveva pensato a molte consonanti eiettive e a un ritmo saltellante della pronuncia. Frommer si mette al lavoro e comincia a registrare alcuni esempi, ma ben presto si trova anche lui a fare i conti con il metodo Cameron”, si legge ancora nell’articolo di Joshua Davis su Wired che abbiamo già segnalato. “«Non voleva soltanto una lingua credibile, ma mi chiedeva la costruzione di una vera grammatica». Poco più di un anno dopo, Frommer aveva per le mani un quadernetto intitolato Parlare Na’vi, il libro di testo con cui addestrare gli attori. «È stata molto dura. La richiesta esplicita era che gli interpreti riuscissero a esprimere le emozioni dei personaggi parlando in una lingua mai esistita»”.
“Una volta definita la lingua, Cameron si è messo a stabilire i nomi di ogni cosa comparisse sul suo pianeta alieno. A ogni animale, a ogni pianta viene attribuito un nome Na’vi, il nome latino e il nome comune. Come se non bastasse, il regista chiama Jodie Holt, capo del dipartimento di botanica dell’University of California di Riverside, e le chiede di scrivere descrizioni scientifiche dettagliate di decine di piante da lui inventate. Holt passa cinque settimane a spiegare perché la flora pandoriana emana luce e possiede proprietà magnetiche. A fine lavoro, Cameron stesso si mette a sistemare con lei le varie voci di quella che ormai è una nuova tassonomia”.
“Era un genere di lavoro che gli schermi non avrebbero mai mostrato, ma a Cameron piaceva così. Il via vai delle più diverse personalità si fa impressionante: arriva a ingaggiare un astrofisico, un professore di musica e un archeologo. Hanno il compito di calcolare la densità atmosferica di Pandora e stabilire una scala tri-tonica per la musica aliena. Quando uno degli esperti si presenta con l’Enciclopedia di Guerre stellari, James dichiara: «Faremo di meglio». Alla fine, una squadra di scrittori e una redazione ha ordinato tutto questo materiale in un manuale di 350 pagine, la Pandorapedia. Il manuale documenta la scienza e la cultura del pianeta immaginario, e dà una descrizione dettagliatissima del nuovo mondo”.
La Pandorapedia si può consultare online a questo collegamento. Come vedete ci sono tutti gli elementi che è possibile vedere al film con spiegazioni dettagliate che fanno perno soprattutto sul ruolo di ciascun elemento nell’ecosistema di Pandora. Ci sono razze, piante, creature, la flora, i veicoli e le armi.
Intervista
Abbiamo intervistato Marco Di Lucca, modellatore italiano che ha lavorato per la creazione di Avatar che ci spiega tutti i passaggi della creazione del film e il suo ruolo nei lavori. Marco è nato a Piedimonte Matese, in provincia di Caserta, nel 1973 e prima di Avatar ha lavorato su King Kong, X-Men 3: The Last Stand, Eragon. Dal 2005 ha fatto parte di Weta Digital, ma adesso sta lavorando in Gran Bretagna sul nuovo progetto del regista di Alla Ricerca di Nemo e Wall-E.
Hardware Upgrade: Perché Avatar ha qualcosa in più rispetto agli altri film dal punto di vista degli effetti speciali?
Marco Di Lucca: Credo che il film parli da solo da questo punto di vista. Nei film visti sino ad ora non ci sono mai stati cosi tanti minuti di computer grafica di così alto livello ed in 3D stereoscopico, dove un mix delle piu avanzate tecnologie nel settore dei visual effects fanno, oserei dire, addirittura passare in secondo piano la storia stessa. Credo che il realismo raggiunto nella creazione del mondo digitale di Pandora, della sua stupenda vegetazione, dei Na’vi e degli Avatar in termini di resa (rendering), nonché le animazioni realistiche, basate quasi esclusivamente su motion capture (del corpo e facciale), non abbia eguali. Lo stesso Cameron ha affermato nelle sue interviste che ha dovuto aspettare diversi anni prima di cominciarne la produzione, per consentire il migliorarsi delle tecnologie che, ai tempi della scrittura del primo script, non avrebbero consentito la realizzazione di Avatar al livello di qualità che lo stesso Cameron immaginava per la sua nuova sfida.
Hardware Upgrade: Di cosa ti sei occupato principalmente per Avatar?
Marco Di Lucca: Ho lavorato ad Avatar per circa due anni ed in due diversi dipartimenti, modellazione e illuminazione. Quando ero ancora in modellazione, nei primi periodi ci si è concentrati sulla costruzione di modelli previz (pre-visualizzazione ndr) a bassa risoluzione dei personaggi che si sarebbero successivamente utilizzati in motion capture, nonché delle varie creature che avrebbero popolato Pandora. In una fase successiva, appena si ricevevano i design (maquettes, disegni concettuali, mocaps etc) si procedeva a modellare le mesh ad alta risoluzione. In particolare ho modellato l’Avatar di Grace, una creatura chiamata Sturmbeest (le cui sequenze sono state successivamente tagliate dal cut finale), alcuni dei Na’vi, costumi ed armi varie, e qualcuna delle centinaia di piante che costituivano la selvaggia ma incredibile vegetazione di Pandora. Successivamente sono passato al reparto di illuminazione dove per circa un anno e mezzo mi sono occupato un po’ di look development, dove appunto si stabilisce il look delle mesh da renderizzare e quindi di mettere insieme lo shot con le luci e procedere al render. Alcune delle sequenze a cui ho lavorato sono state quella in cui Jake, Norm e altri Avatar, dopo la prima connessione, vanno a dormire; la cerimonia di Jake quando viene accettato dai Na’vi; quando Jake va a chiedere aiuto all’albero sacro.
Hardware Upgrade: Quali sono i motivi che spingono un modellatore come te a lasciare la propria terra per andare a lavorare all’estero? Come ti sentivi all’inizio e cosa è cambiato adesso che sono passati diversi anni?
Marco Di Lucca: Questa è una domanda piuttosto ricorrente e credo di poter rispondere anche a nome di molti altri miei colleghi italiani che, come me, si sono trasferiti all’estero per seguire la forte passione che ci accomuna per questo lavoro e per realizzare il sogno di sempre che purtroppo, per vari motivi, non sarebbe stato possibile realizzare in Italia. L’inizio è stato per me un mix di emozioni; sapevo che ci sarebbero state difficoltà nell’andare a vivere in un paese dall’altro lato del globo e ricominciare praticamente una nuova vita, come ad esempio il non parlare l’inglese. Ma devo dire che forse l’eccitazione per la nuova esperienza lavorativa e di lavorare per Weta Digital, la società dove gran parte delle persone che lavorano nel mio settore vorrebbero lavorare, mi ha fatto superare le iniziali difficoltà. Devo sottolineare, tra l’altro, che Weta mi ha aiutato (come d’altra parte fa con tutte le persone straniene che vengono assunte) nelle fasi iniziali di adattamento alla nuova vita neozelandese. Dopo tutti questi anni vedo la Nuova Zelanda come una seconda casa, un bellissimo posto dove, se non avessi avuto l’esigenza di tornare per la mia famiglia, avrei sicuramente fatto il pensiero di rimanere ancora a lungo. Al momento ho preso una pausa e mi sono riavvicinato all’Italia e alla mia famiglia ma non escludo nel futuro di tornare laggiù tra le pecore e tanti, ma tanti, processori.
Hardware Upgrade: Che potenza di calcolo occorre per renderizzare le scene più complesse di Avatar? Quanto tempo serve?
Marco Di Lucca: È difficile rispondere a questa domanda, data l’enorme complessità che un film come Avatar ha messo davanti alla pipeline di Weta. Il tempo per metter su uno shot dipende dalla sua complessità, da quanti oggetti sono presenti nella scena, da come interagiscono tra di loro, e da altri fattori, quindi è difficile farne una valutazione precisa. Tempi di rendering a parte, anche solo la simulazione di un carattere principale come Jake (bake della skin e dinamica dei costumi e capelli), per 100 fotogrammi avrebbe impiegato non meno di 8-10 ore. Fatto ciò si cominciava a metter insieme lo shot caricando tutto quello che doveva farne parte e da lì si cominciava ad ottimizzare la scena, dividendola in passaggi, perché non è possibile renderizzarla in un unico passaggio. Diciamo che solitamente si lavorava allo shot durante la giornata e il tardo pomeriggio/sera, prima di lasciare l’ufficio si lanciavano i rendering sulla renderfarm e solitamente (a seconda dei processori a disposizione, che venivano comunque assegnati a seconda della priorità delle sequenze) il mattino dopo erano pronti per le review giornaliere, tenute in mattinata.
Hardware Upgrade: Hai lavorato sul Performance Capture? Quali sono le principali difficoltà con questa tecnica? Il modellatore può influire in qualche modo sulle espressioni facciali del personaggio virtuale una volta che l’attore ha prodotto la sua performance?
Marco Di Lucca: No, non mi sono occupato di motion capture né tantomeno del facciale che è stato realizzato, sempre all’interno del dipartimento di modellazione, da un gruppo separato di artisti dedicati esclusivamente alla modellazione di tutte le espressioni che avrebbero costituito il complesso sistema facciale di ogni personaggio. Il sistema facciale comunque rimane basato sulla fisionomia del relativo attore e delle sue performance che venivano catturate da apposite telecamere.
Hardware Upgrade: Non c’è il rischio che “manipolando” il risultato grezzo ottenuto si possa sminuire il ruolo stesso dell’attore?
Marco Di Lucca: Non credo che Cameron abbia pensato ciò, altrimenti non avrebbe aspettato diversi anni prima di imbarcarsi sul progetto Avatar. Uno degli obiettivi della sua produzione è stato appunto quello di creare personaggi realistici basati su attori reali la cui verosomiglianza non fosse stata solo nel modello ma anche e soprattutto nell’interpretazione. Direi che i risultati sono strabilianti e gli attori hanno potuto recitare le loro parti nel massimo della naturalezza (nonostante le attrezzature che dovevano indossare), che ritroviamo nella loro versione digitale.
Hardware Upgrade: Un film come Avatar è destinato a fare incetta di Oscar. La scelta di fare un film quasi del tutto in cg lo penalizzerà nella corsa ai premi per il miglior trucco, i migliori costumi e altri simili?
Marco Di Lucca: Non credo. Dietro ogni costume di ogni singolo personaggio c’è stato un grande lavoro da parte di molte persone a cominciare dai designer che hanno sviluppato migliaia di concept. Poi di quelli approvati venivano di solito realizzati mocap da utilizzare nelle riprese reali nonché date a Weta come references per la realizzazione della controparte digitale. Quindi non credo che ci sia stato meno lavoro oppure meno creatività rispetto a un film tradizionale, e non vedo quindi il motivo per cui non possa vincere un Oscar anche in quell’ambito.
Hardware Upgrade: Nell’articolo ho paragonato la tecnologia che sta alla base degli effetti speciali di Avatar a quella che c’è dentro un motore grafico di un videogioco. È un accostamento che si può fare? Quali sono le analogie?
Marco Di Lucca: È un po’ difficile per me rispondere a questa domanda dato che non sono mai stato un grande appassionato di videogiochi. Sembra strano ma è vero. So di sicuro che sono state sviluppate un po’ di tecnologie che erano state inizialmente pensate per il settore dei videogame e che hanno consentito di risparmiare notevolmente sui tempi di rendering di particolari effetti sfruttando la potenza della GPU delle schede video invece di farlo via software.
Hardware Upgrade: Come avviene il processo di illuminazione del mondo e di scelta dei materiali?
Marco Di Lucca: Quando lo shot è pronto, lo shot TD di solito utilizza un lightRig che il responsabile della sequenza ha preparato in modo tale da assicurare continuità nei vari shots. Una sequenza può essere realizzata da diverse persone e quindi è necessario questo lavoro di coordinamento. Non posso entrare nello specifico delle tecniche che comunque molto spesso sono sempre basate sui classici principi di illuminazione tradizionale. I materiali sono gestiti da un altro dipartimento (shaders) le cui persone creavano palettes appositamente per ogni oggetto.
Hardware Upgrade: C’è tanta modellazione organica in Avatar. Ci spieghi quali sono le principali sfide con la modellazione organica rispetto alla modellazione tradizionale (ad esempio quella dei mezzi armati)?
Marco Di Lucca: Avatar è stato un mix di entrambe e le sfide non sono mancate per entrambi i tipi di modellazione. Nel caso della modellazione organica, direi che a parte i personaggi e le creature, la modellazione di tutta la vegetazione di Pandora sia stata una sfida unica, ma che Weta ha saputo brillantemte dominare, grazie al talento dei numerosi modellatori che vi hanno partecipato. Abbiamo modellato le singole foglie di ogni specie e abbiamo usato tecniche procedurali per alcuni tipi particolari di piante. Un plauso va poi sicuramente fatto a quelle persone che si sono occupate della modellazione delle ‘floating mountains’ di Pandora, cosa che ha richiesto una dedizione e direi una pazienza immane.
Hardware Upgrade: Hai conosciuto James Cameron? Com’è lavorare con lui?
Marco Di Lucca: Non ho avuto modo di conoscere Cameron di persona, anche se l’ho visto una delle poche volte che è venuto in Nuova Zelanda. A parte il periodo delle riprese in Nuova Zelanda, in realtà, durante tutta la fase di post produzione credo sia venuto un paio di volte. Il tutto veniva gestito via teleconferenza inizialmente con cadenza settimanale, e, nel rush finale, giornaliera. Comunque di solito anche a queste ultime vi partecipavano solo supervisori e i responsabili delle sequenze.
Hardware Upgrade: Su quale progetto stai lavorando attualmente?
Marco Di Lucca: Avatar è stato, almeno per ora, l’ultimo progetto a cui ho lavorato per Weta Digital in quasi 5 anni. Mi sono trasferito a Londra alla fine della sua produzione, a metà novembre 2009, per lavorare per un’altra società che si chiama Double Negative (dneg.com) con la qualifica di TD generalist (quello che fa un po’ di tutto insomma) e sto lavorando ad un progetto che non uscirà prima del 2012 e che si chiama John Carter of Mars, una produzione Walt Disney il cui regista sarà Andrew Stanton, della Pixar, che ha diretto Finding Nemo e Wall-E.
Ringrazio sentitamente Marco per la grande disponibilità.
Sul piano artistico
Avatar è un film che artisticamente è di qualità eccellente. Come noto, è una storia d’amore calata in un universo fantascientifico/fantasy all’interno con un deciso messaggio ecologista e di coesistenza ed equilibrio tra popoli e razze. Avatar è un film che trascina dal primo all’ultimo momento e che coniuga un comparto tecnico che non ha precedenti nella storia del cinema con una trama piuttosto semplice e buonista e con personaggi caratterizzati secondo modalità innovative concesse dalla tecnologia di ultima generazione impiegata.
Il fulcro della storia riguarda il sentimento tra i due protagonisti, Jake e Neytiri. Un sentimento nuovo rispetto a quello a cui ci ha abituato la tradizione di Hollywood perché scaturisce tra un essere umano e un’aliena. La tecnologia aiuta tantissimo a produrre questo senso, perché sono ben evidenti i movimenti ferini di Neytiri rispetto a quelli più razionali di Jake. La diversità tra le specie è uno dei temi fondanti di Avatar, ed è ben sottolineata grazie alla tecnologia.
Inizialmente i due sono molto diversi, ma nel corso della storia Neytiri mostra a Jake i valori dei Na’Vi, fino a quanto il protagonista recepisce perfettamente cosa rende diversi i Na’Vi dagli esseri umani fino a diventare il leader dei primi e osteggiare il tentativo di invasione degli umani. La parte centrale del film è concentrata sul tema: è più avanzato lo stato evolutivo dei Na’Vi o quello degli esseri umani?
Apparentemente lo sono i secondi, perché hanno più mezzi meccanici, più tecnologia, più armi, più potenza. Ma questa falsa sensazione viene smentita con il procedere nel film. I Na’Vi hanno mantenuto l’armonia con il proprio mondo e con le altre specie che lo popolano, la loro arma più potente è proprio Pandora. Il legame tra i Na’Vi e Pandora è di tipo reale, perché sono collegati tramite una rete elettrochimica che nel film viene spiegata in senso fantascientifico, senza ricorrere alla metafisica.
I Na’Vi, nella loro evoluzione, hanno perso quell’istintualità che li porta ad attaccare e a invadere gli spazi delle altre specie, gli esseri umani no. Il primo contatto tra Jake e Neytiri è tutto dedicato a questa componente: Jake non riesce a frenarsi, il suo istinto lo porta a invadere gli spazi che non gli sono di competenza, e questo lo porta nei guai: è lo stesso motivo che induce gli umani a un’invasione che non può essere completata.
Man mano che Jake perde questa istintualità, Neytiri gli concede maggiore fiducia, e così fa l’intera popolazione dei Na’Vi. Il non attaccare è quindi l’elemento portante del senso che Cameron ha voluto dare ad Avatar. Ovviamente, a questo si aggiunge il messaggio ecologista: l’armonia che c’è tra i Na’Vi e Pandora è indissolubile, per quanto possano fare gli esseri umani. Questi ultimi, invece, hanno perso il contatto diretto con il proprio mondo, al punto da distruggerlo interamente, e questo li rende una specie non riuscita. Il sentimento tra Neytiri e Jake rappresenta la coesistenza tra le specie, favorita da Pandora.
Il personaggio di Neytiri sostiene il film, rappresenta la “pacificità” dei Na’Vi e la loro ferinità. L’impianto degli effetti speciali viene esplicitato ed esaltato dal personaggio di Neytiri. Un discorso a parte riguarda la fotografia, molto simile a quella di Titanic nella descrizione del mondo: qui si tratta di Pandora, lì dell’imponente nave. Una fotografia simile richiede una colonna sonora simile, e infatti lo sfondo musicale di Avatar non si discosta in maniera netta da quello di Titanic. D’altra parte, la colonna sonora del nuovo film di Cameron è molto più debole di quella del precedente.
Un altro appunto va fatto sul senso dato alla tecnologia. Nei film di Cameron, vedi Terminator, è vista sempre in accezione positiva, e ciò non muta in Avatar. Due sono le armi principali degli esseri umani nella conquista di Pandora: le armi e la scienza, ovvero la tecnologia. Le prime sono ingombranti e non si adattano a Pandora, mentre la seconda è fondamentale per ricreare il legame tra Jake e Neytiri, legame che rappresenta l’equilibrio tra le due specie, che continuerà anche dopo il fallito tentativo di invasione.
Un altro lavoro eccezionale realizzato da Cameron riguarda il montaggio. Il film ha quasi sempre ritmi sostenutissimi che tengono gli spettatori incollati alla storia. Il sentimento tra i due protagonisti è seguito in maniera eccezionale, reso vivo dagli stupendi paesaggi di Pandora. Il ritmo del film, le inquadrature e molte scene (la parte in cui Jake, appropriatosi del corpo del Na’Vi, corre fuori dallo stabilimento per godere della nuova libertà) ricordano Titanic.
Quel che non funziona è qualcosa nel finale. La parte in cui gli esseri umani attaccano l’albero madre dei Na’Vi è eccessivamente epica per il momento del film in cui è collocata. È una scena che fa crescere di molto le aspettative dello spettatore e non può essere piazzata a 3/4 del film: è, invece, un momento da inizio film o da conclusione o da inserire subito prima della conclusione. Invece Cameron si prolunga per altri 50 minuti buoni dopo questa scena.
Tutto ciò rende il finale un po’ prevedibile, anche perché non poteva essere diverso visto l’intento buonista del regista canadese. Il finale di Avatar risulta, quindi, un attimino pesante per effetto di un montaggio non perfetto e per l’eccesso di grandiosità dato da Cameron alla scena in cui viene distrutto l’albero madre. Si tratta solamente di una piccola pecca che impedisce di dare un voto di assoluta eccellenza ad Avatar, che per altri versi risulta sicuramente un film di qualità eccellente.
Tratto da HardwareUpgrade.it
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Perché non avete messo le foto di SIGOURNEY WEAVER!!!!!!!!?
Chiara(10 anni)
anzi, 11 anni.
sfigata