“Gli anni dolci”, adattamento manga di Jirō Taniguchi del romanzo di Hiromi Kawakami, rappresenta un incontro tra due maestri della narrazione introspettiva. Taniguchi, noto per storie che esplorano l’animo umano con delicatezza quasi documentaristica, qui fonde il suo tratto realistico con la prosa poetica di Kawakami, creando un’opera che trascende il medium e rendendo Sensei no kaban non solo un manga, ma un dialogo tra parole e immagini.
La Trama
La trama, apparentemente semplice, segue Tsukiko, una donna di 37 anni, e il suo ex professore di liceo, Matsumoto, ormai anziano e prossimo alla pensione. I due si ritrovano casualmente in un piccolo izakaya, un locale tipico giapponese, e da lì inizia una relazione fatta di silenzi, sguardi e piccoli gesti che, nel loro insieme, compongono un ritratto delicato e profondo dell’animo umano. Non c’è dramma esagerato, né colpi di scena spettacolari: la bellezza di questa storia risiede nella sua capacità di catturare l’essenza delle relazioni umane attraverso momenti apparentemente banali, ma carichi di significato.
Taniguchi imposta il ritmo narrativo in modo pacato, scegliendo di soffermarsi su dettagli che appaiono ordinari ma che acquisiscono un valore simbolico con il procedere della storia. Questo approccio può sembrare lento a chi cerca azione o colpi di scena, ma è proprio in questa lentezza a far posto ad uno spazio contemplativo che permette di cogliere la profondità delle emozioni dei due protagonisti.
I Personaggi
Tsukiko, 37 anni, non è semplicemente una donna single: è un ritratto della generazione giapponese sospesa tra tradizione e modernità. Il suo è un lavoro anonimo da impiegata, vive da sola in un grande appartamento vuoto (simbolo di alienazione urbana, tema caro alla letteratura giapponese contemporanea, si pensi a Haruki Murakami). La sua timidezza nasconde una domanda esistenziale: come costruire relazioni autentiche in una società che idolatra la produttività? Personalmente, colpisce come la sua evoluzione non sia un’epifania drammatica, ma un lento sbocciare, come i ciliegi che Taniguchi disegna con maestria. Quel momento in cui Tsukiko osa chiedere al professore “Perché continuiamo a incontrarci?” è una rivoluzione silenziosa, un atto di coraggio che molti lettori riconoscono come specchio delle proprie paure.
Il professor Matsumoto, è un uomo anziano che incarna la saggezza e la malinconia di un’esistenza profondamente segnata dal passato. Vedovo e nostalgico, vive intrappolato nei ricordi della moglie scomparsa, un legame che lo rende vulnerabile e al contempo profondamente umano. Matsumoto si presenta come un uomo d’altri tempi, elegante e rigoroso, profondamente legato ai valori tradizionali e alla letteratura, che utilizza come ancoraggio nella sua solitaria quotidianità. Tuttavia, è proprio attraverso gli incontri con Tsukiko che il professore riscopre una nuova dimensione di sé, una voglia di vivere che sembrava sopita. Nonostante la sua posizione di mentore e la sua età avanzata, Matsumoto si rivela un uomo bisognoso del conforto e della compagnia che il loro rapporto gli offre. Con il tempo, il suo atteggiamento inizialmente distaccato cede il passo a una tenera vicinanza, che si traduce in gesti discreti ma profondamente significativi. La sua vedovanza non è un semplice dettaglio biografico, ma una ferita che Taniguchi visualizza attraverso oggetti: l’orologio fermo della moglie, il vaso vuoto sul tavolo. In una scena memorabile, Matsumoto confessa a Tsukiko di parlare ancora con la moglie defunta mentre prepara il tè – gesto che, nella cultura giapponese, lega l’amore al concetto buddista di “mujo” (impermanenza). La sua fragilità sfida lo stereotipo dell’anziano saggio, mostrandoci un uomo che impara a ricevere, non solo a insegnare.
L’Izakaya, il piccolo locale dove si incontrano non è un semplice sfondo, ma un personaggio simbolico. Gli izakaya, spazi informali per bere e mangiare, rappresentano nella cultura giapponese l’antidoto alla rigidità sociale. Qui, il sakè versato con cura diventa sacramento laico, i piatti stagionali (il sakura mochi primaverile, l’oden invernale) segnano il passaggio del tempo interiore. Taniguchi dedica intere pagine ai dettagli culinari: il vapore che avvolge i volti, le mani che si sfiorano passando le bacchette. È un inno al “kūki wo yomu” (leggere l’aria), quella comunicazione non verbale cruciale in Giappone, dove un silenzio può dire più di un discorso.
Il Tocco di Jirō Taniguchi
Il tratto di Taniguchi, minuzioso ma mai opprimente, trasforma gesti quotidiani in haiku visivi. Riesce a ritrarre i protagonisti con incredibile delicatezza e rispetto, mostrando le loro fragilità e sfumature emotive senza essere mai banale. Tsukiko, con la sua vitalità, dona leggerezza alla vita del professore, mentre lui le offre un senso di stabilità e riflessione. Il loro rapporto evolve attraverso una serie di avvicinamenti e allontanamenti, quasi come una fisarmonica.
Il tratto di Taniguchi è caratterizzato da un realismo meticoloso e una cura maniacale per i dettagli. Le tavole de Gli anni dolci rispecchiano totalmente lo stile dell’autore e trasmettono allo stesso tempo un’atmosfera intima, quasi cinematografica, grazie a inquadrature studiate con precisione.
Gli sfondi sono ricchi di dettagli e rappresentano fedelmente il Giappone sia nelle scene urbane che in quelle dove ambientate in scenari naturali, e contribuiscono a immergere il lettore nel contesto della storia.
Le espressioni dei personaggi sono rese con pochi tratti ma riescono a comunicare una vasta gamma di emozioni. Questo equilibrio tra semplicità e profondità visiva è uno degli aspetti più distintivi del lavoro di Taniguchi.
I temi
La relazione tra Tsukiko e Matsumoto sfida multiple convenzioni: non solo la differenza d’età, ma anche il ruolo docente-discente, e il concetto stesso di amore come possesso. In un Paese dove il un terzo dei single non ha mai avuto una relazione1 (dati 2017), la storia propone un modello alternativo: l’amore come spazio di crescita reciproca, non come contratto sociale. Personalmente, trovo commovente come la loro relazione eluda ogni definizione – non sono amanti né parenti, ma “due solitudini che si proteggono a vicenda”, per parafrasare Rilke.
Leggendo Gli anni dolci, mi sono ritrovato a riflettere su quanto spesso, nella vita quotidiana, sottovalutiamo l’importanza delle piccole connessioni tra le persone. Tsukiko e Matsumoto non vivono una storia d’amore convenzionale, ma piuttosto un’intimità costruita su piccoli gesti e situazioni estremamente semplici. Questo mi ha portato a pensare a quante volte, nella mia vita, ho ignorato o dato per scontati quei momenti apparentemente insignificanti che, in realtà, sono i pilastri delle relazioni più autentiche. Gli anni dolci mi ha insegnato che certi momenti, per quanto fugaci, sono preziosi. Non servono grandi gesti per creare legami significativi; a volte, basta un sorriso, una domanda sincera o un momento di ascolto.
Un altro aspetto che mi ha colpito è la vulnerabilità dei personaggi. Tsukiko, con le sue insicurezze, e Matsumoto, con la sua malinconia, non cercano di nascondere le proprie fragilità. Al contrario, le accettano e le condividono tra loro, trovando nell’altro un rifugio sicuro. Spesso, nella società moderna, la vulnerabilità è vista come un segno di debolezza. Invece, Gli anni dolci ci mostra che è proprio attraverso l’accettazione delle nostre imperfezioni che possiamo costruire relazioni autentiche.
La vera forza non sta nel nascondere le proprie debolezze, ma nel condividere apertamente chi siamo, con tutte le nostre paure e incertezze. Tsukiko e Matsumoto non si giudicano, ma si accettano per quello che sono, e questo permette loro di crescere insieme. Essere vulnerabili significa avere il coraggio di essere autentici.
Infine, il tema del tempo è centrale nella storia. Tsukiko e Matsumoto vivono in età diverse, con passati e prospettive future molto differenti, eppure trovano un punto d’incontro nel presente. Questo mi ha fatto pensare a quanto spesso siamo ossessionati dal futuro o imprigionati nel passato, dimenticando di vivere il momento presente. La loro relazione è un invito a rallentare, a godere delle piccole cose, a trovare bellezza nel qui e ora.
In un mondo che corre sempre più veloce, Gli anni dolci è un promemoria per fermarsi, respirare e apprezzare le connessioni che costruiamo lungo il cammino. Non importa quanto siano brevi o imperfette: sono quelle che danno senso alla nostra esistenza. E forse, come Tsukiko e Matsumoto, possiamo scoprire che l’amore e la felicità non si trovano nei grandi eventi o nelle esternazioni pacchiane, ma nei dettagli silenziosi della vita quotidiana.
Conclusione
Gli Anni Dolci è un capolavoro che unisce una narrazione emozionante a un’arte visiva straordinaria, è un’opera che ci invita a rallentare, a osservare, a sentire. È una storia che non si conclude con un finale netto, ma lascia spazio alla riflessione e all’immaginazione, proprio come la vita stessa. Se avete il coraggio di abbracciare la sua lentezza e la sua profondità, scoprirete che, come Tsukiko e Matsumoto, anche voi potete trovare bellezza nelle piccole cose e significato nelle connessioni più inaspettate.
E se, dopo aver letto questa storia, vi ritroverete a guardare con occhi nuovi il vostro izakaya di quartiere, il vicino di casa con cui scambiate due parole o il collega con cui condividete una pausa caffè, allora Taniguchi e Kawakami avranno raggiunto il loro scopo: ricordarci che l’amore e la felicità sono spesso nascosti nei dettagli silenziosi della vita quotidiana.
- Fonte: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/asia/2024/01/06/in-giappone-un-terzo-dei-single-non-ha-mai-avuto-una-relazione_a439fae5-3552-45bd-8993-08ff7da8f1f6.html ↩︎