Interviste impossibili: Calvino incontra Montezuma

Assalto ai Teocalli – Emanuel Leutze (1848)

CALVINO: Maestà, Santità, Imperatore, Generale, scusatemi ma non so come chiamarvi. Sono obbligato a ricorrere a termini che solo in parte rendono le attribuzioni della vostra carica. Appellativi che nella mia lingua di oggi hanno perduto molto della loro autorità, suonano come echi di poteri svaniti così come è svanito il vostro trono, alto sugli altipiani del Messico. Il trono dal quale regnaste sugli Atzechi come il più Augusto e l’ultimo dei loro sovrani.

Montezuma, anche chiamarvi per nome mi è difficile, Motecuhzoma, così pare suonasse veramente il vostro nome, che nei libri di noi europei appare variamente deformato Moteczouma, Mochtezuma. Un nome che secondo alcuni autori vorrebbe dire “uomo triste”. In vero avreste ben meritato questo nome, voi che avete visto crollare un impero prospero e ordinato come quello degli Aztechi, invaso da esseri incomprensibili armati di strumenti di morte mai visti.

Dev’essere stato come se qui, nelle nostre città, calassero d’improvviso degli invasori extraterrestri. Ma noi quel momento ce lo siamo già immaginato in tutti i modi possibili, almeno così crediamo. E voi? Quand’è che avete cominciato a capire che era la fine di un mondo quella che stavate vivendo?

MONTEZUMA: La fine, il giorno rotola verso il tramonto, l’estate marcisce in un autunno fangoso. Così ogni giorno, ogni estate, non è detto che torneranno ogni volta, per questo l’uomo deve ingraziarsi gli dei, perché il sole e le stelle continuino a girare sui campi di granturco. Ancora un giorno, ancora un anno...

CALVINO: Ah volete dire che la fine del mondo è sempre lì sospesa? Che tra tutti gli avvenimenti straordinari di cui la vostra vita è stata testimone, il più straordinario era che tutto continuasse, non che tutto stesse crollando.

MONTEZUMA: Non sempre gli stessi dei regnano in cielo, non sempre gli stessi imperi riscuotono le tasse nelle città e nelle campagne. In tutta la mia vita ho onorato due dei, uno presente uno assente: il colibrì azzurro Huitzilopochtli, che guidava nella guerra noi aztechi, e il dio scacciato, il serpente piumato Quetzalcoatl esule oltre l’oceano nelle terre sconosciute dell’occidente. Un giorno il dio assente avrebbe fatto ritorno al Messico e si sarebbe vendicato degli altri dei e dei popoli a loro fedeli. Io temevo la minaccia che gravava sul mio impero, lo sconvolgimento da cui avrebbe preso inizio l’era del serpente piumato. Ma nello stesso tempo la attendevo, sentivo in me l’impazienza per il compiersi di quel destino pur sapendo che avrebbe portato con se la rovina dei templi, la strage degli Aztechi, la mia morte.

CALVINO: Davvero avete creduto che il dio Quetzalcoatl sbarcasse alla testa dei conquistatori spagnoli? Avete riconosciuto il serpente piumato sotto l’elmo di ferro e la barba nera di Hernan Cortez?

MONTEZUMA: Hmm…

CALVINO: Perdonatemi Montezuma, quel nome riapre una ferita nel vostro animo.

MONTEZUMA: Basta, questa storia è stata raccontata troppe volte. Che quel dio nella nostra tradizione è rappresentato con il viso pallido e barbuto e vedendo Cortez pallido e barbuto lo avremmo riconosciuto come il dio…no, non è così semplice. Le corrispondenze trai segni non sono mai certe, tutto va interpretato. La scrittura tramandata dai nostri sacerdoti non è semplice come la vostra, ma di figure.

CALVINO: Volete dire quanto la vostra scrittura pittografica, quanto la realtà, si leggevano allo stesso modo. Entrambe dovevano essere decifrate.

Montezuma: Nelle figure, nei libri sacri, nei bassorilievi, nei templi, nei mosaici di piume, ogni linea, ogni fregio, ogni striscia colorata può avere un senso. E nei fatti che accadono, negli avventimenti che si svolgono sotto ai nostri occhi, ogni minimo dettaglio può avere un senso che ci avverte delle intenzioni degli dei. Lo sventolio d’una veste, un’ombra che si disegna sulla polvere. Cosa potevamo fare? Cosa potevo io, che avevo tanto studiato l’arte di interpretare le antiche figure dei templi e le visioni dei sogni, se non per cercare di interpretare queste nuove apparizioni? Non che queste somigliassero a quelle, ma le domande che io potevo farmi di fronte all’inspiegabile che stavo vivendo erano le stesse che mi facevo guardando gli dei che digrignavano i denti nelle pergamene dipinte, o scolpiti in blocchi di rame rivestite in lamine d’oro incrostate di smeraldi.

CALVINO: Ma qual era il fondo della vostra incertezza, re Montezuma? Quando avete visto che gli spagnoli non desistevano dall’avanzare, e mandargli incontro ambasciatori con regali sfavillanti serviva solo a eccitare la loro avidità di metalli preziosi. Quando avete visto Cortez che si faceva alleate le tribù insofferenti delle vostre vessazioni e le sollevava contro di voi? E massacrava le tribù che sobillate da voi, li tendevano imboscate.

Da quel momento lo avete finalmente accolto come ospite nella capitale con tutti i suoi soldati. E avete lasciato che, da ospite, si trasformasse rapidamente in padrone. Avete accettato che si proclamasse difensore del vostro trono pericolante e con questa scusa vi trattenesse prigioniero. Non mi direte che potevate credere in Cortez?

MONTEZUMA: I bianchi non erano immortali, lo sapevo. Certamente non erano gli dei che attendevamo. Ma avevano poteri che parevano al di là dell’umano, le frecce si piegavano contro le loro corazze, le loro cerbottane infuocate, o che altra diavoleria fosse, proiettavano dardi sempre mortali eppure, eppure, non si poteva escludere una superiorità anche da parte nostra, tale forse da pareggiare la bilancia. Quando li condussi a visitare le meraviglie della nostra capitale il loro stupore fu così grande…Il vero trionfo fu nostro quel giorno, sui rozzi conquistatori d’oltremare. Uno di loro disse che nemmeno leggendo i loro libri d’avventure avevano mai fantasticato un simile splendore.

Poi Cortez mi prese come ostaggio nel palazzo dove l’avevo ospitato. Non contento di tutti i regali che gli facevo fece scavare una galleria sotterranea fino alle stanze del tesoro e le saccheggiò.

La mia sorte era contorta e spinosa come un cactus ma questi soldatacci che mi facevano la guardia passavano le giornate giocando ai dadi e barando, facevano rumori sconci, s’azzuffano per gli oggetti d’oro che io gettavo come mancia. Io restavo il re, ne davo prova ogni giorno. Ero superiore a loro. Ero io il vincitore, non loro.

CALVINO: Speravate ancora di rovesciare la sorte?

MONTEZUMA: Forse tra gli dei in cielo era in corso una battaglia, tra noi s’era stabilito una specie d’equilibrio come se le sorti fossero sospese. Non dimenticare che alla testa degli stranieri c’era una donna, una donna messicana di una tribù nostra nemica ma della nostra stessa razza. Voi dite “Cortez, Cortez” e credete che Malintzin Doña Marina, come voi la chiamate, gli facesse solo da interprete. No, il cervello, o almeno metà del cervello di Cortez era lei. Erano due le teste che guidavano la spedizione spagnola, il disegno della conquista nasceva dall’unione di una maestosa principessa della nostra terra e un piccolo uomo pallido e peloso.

Forse era possibile, io la vedevo possibile, una nuova era in cui si saldassero le qualità degli invasori che io credevo divine e la nostra civiltà tanto più ordinata e raffinata, forse saremmo stati noi a risucchiarli con tutte le loro armature, i cavalli e le spingarde, ad appropriarci dei loro poteri straordinari, a far sedere i loro dei al banchetto dei nostri dei.

CALVINO: Così vi illudevate Montezuma, per rifiutarvi di vedere le sbarre della vostra prigione. Eppure sapevate che c’era un’altra via, quella di resistere, di battervi, di sopraffare gli spagnoli. Era questa la via scelta da un vostro nipote, il quale aveva ordito una congiura per liberarvi e voi l’avete tradito. Avete prestato agli spagnoli quel che restava della vostra autorità per soffocare la ribellione. Eppure Cortez in quel momento aveva con sé soltanto quattrocento uomini isolati in un continente sconosciuto, e per giunta era in rotta con le stesse autorità del suo governo d’oltremare. Certo, la flotta dell’armata di Spagna per Cortez o contro Cortez, incombevano sul Nuovo Continente. Era il loro intervento, l’intervento dell’Impero di Carlo V che temevate. Vi rendevate già conto che il rapporto di forza era schiacciante. È così che la sfida all’Europa era disperata.

MONTEZUMA: Sapevo che non eravamo uguali, ma non come dici tu, uomo bianco. Non era pesabile, misurabile, la diversità che mi permava. Non era come quando tra due tribù dell’Altopiano, oppure tra due nazioni del vostro continente che una vuole dominare sull’altra ed è il coraggio o la forza nel combattere che decidono le sorti. Per battersi con un nemico bisogna muoversi nel suo stesso spazio, esistere nel suo stesso tempo. In noi ci scrutavamo da dimensioni diverse senza sfiorarci.

Quando lo ricevetti per la prima volta, Cortez, violando le sacre regole mi abbracciò. I sacerdoti e i dignitari della mia corte si coprirono il viso per lo scandalo. Ma a me sembra che i nostri corpi non si siano toccati. Non perché la mia carica mi poneva al di là di ogni contatto estraneo, ma perché appartenevamo a due mondi che non si erano mai incontrati, né potevano incontrarsi

CALVINO: Vede Montazuma, quello era il primo vero incontro dell’Europa con gli altri. Il Nuovo Mondo era stato scoperto da Colombo meno di trent’anni prima. Fino ad allora si era trattato solo di isole tropicali, villaggi di capanne. Adesso era la prima spedizione coloniale di un esercito di bianchi che incontrava non i famosi selvaggi che sopravvivono dall’età dell’oro della Preistoria, ma una civiltà complessa, ricca, e raffinata.

Ed è stato proprio in quel primo incontro che è avvenuto qualcosa di irreparabile. Forse eravate ancora in tempo per estirpare dalle teste europee la pianta maligna che stava appena spuntando: la convinzione di aver diritto di distruggere tutto ciò che è diverso, di distruggere tutte le ricchezze del mondo, di espandere sui continenti la macchia uniforme di una triste miseria. E forse allora la storia del mondo avrebbe preso un altro corso, capite Re Montezuma? Capisci Montezuma quel che ti dice un europeo d’oggi? Sono venuto ad interrogarti perché stiamo vivendo la fine di una supremazia in cui tante straordinarie energie sono state volte al male.

Sappiamo che tutto ciò che abbiamo pensato e compiuto convinti che fosse un bene universale porta il marchio di una limitazione. Rispondi a chi si sente, come te vittima, e come te responsabile.

MONTEZUMA: Anche tu parli come stessi leggendo un libro già scritto. Per noi all’ora di scritto non c’era che il libro dei nostri dei, le profezie che si potevano leggere in cento modi, tutto era da decifrare. Ogni fatto nuovo dovevamo per prima cosa inserirlo nell’ordine che sostiene il mondo e fuori dal quale nulla esiste. Ogni nostro gesto era una domanda che aspettava una risposta. E perché ogni risposta avesse una controprova sicura io dovevo formulare le mie domande in due maniere: una in un senso e l’altra in un senso contrario. Domandavo con la guerra e domandavo con la pace, per questo ero alla testa del popolo che resisteva ed ero nello stesso tempo al fianco di Cortez che lo sottometteva crudelmente.

Dici che non ci siamo battuti: la città di Messico si è ribellata agli spagnoli. Piovevano sassi e frecce da ogni tetto. È stato allora che i miei sudditi mi hanno ucciso a colpi di pietra, quando Cortez mi mandò a rabbonirli.

Poi gli spagnoli ricevettero rinforzi, gli insorti furono massacrati, la nostra città impareggiabile fu distrutta. La risposta di quel libro che andavo decifrando è stata: no. Per questo vedi la mia ombra che si aggira curva tra queste rovine, da allora…

CALVINO: Ma anche per gli spagnoli voi eravate gli altri, i diversi, gli incomprensibili, gli inimmaginabili. Anche gli spagnoli dovevano decifrarvi.

MONTEZUMA: Voi vi appropriate delle cose, l’ordine che regge il vostro mondo è quello dell’appropriazione. Tutto quello che avevate da capire era che noi possedevamo una cosa per voi degna di appropriazione più di ogni altra, e che per noi era solo una materia graziosa per monili e ornamenti: l’oro. I vostri occhi cercavano oro, oro, oro. I vostri pensieri giravano come avvoltoi attorno a quell’unico oggetto di desiderio.

Per noi invece l’ordine del mondo consisteva nel donare. Donare perché i doni degli dei continuino a colmarci, perché il sole continui a levarsi ogni mattino abbeverandosi del sangue che sgorga.

CALVINO: Il sangue Montezuma, non osavo parlartene e sei tu che lo nomini, il sangue dei sacrifici umani…

MONTEZUMA: Ancora, ancora, perché voi invece? Facciamo il conto, facciamo il conto delle vittime della vostra civiltà e la nostra.

CALVINO: No no Montezuma, l’argomento non regge. Sai che non sono qui per giustificare Cortez e i suoi. Non sarò certo io a sminuire i delitti che la nostra civiltà ha commesso e continua a commettere. Ma ora è della vostra civiltà che stiamo parlando. Quei giovani stesi sull’altare, i coltelli di pietra che sfracellano il cuore, il sangue che zampilla tutto intorno…

MONTEZUMA: E allora? E allora? Gli uomini d’ogni tempo e d’ogni luogo si affannano con un solo scopo: tenere insieme il mondo perché non si sfasci. Solo la maniera varia. Nelle nostre città tutte laghi e giardini, quel sacrificio del sangue era necessario come zappare la terra, come incanalare l’acqua dei fiumi. Nelle vostre città tutte ruote e gabbie la vista del sangue è orrenda, lo so, ma quante più vite stritolano i vostri ingranaggi?

CALVINO: D’accordo, ogni cultura va compresa dall’interno, questo l’ho capito Montezuma, non siamo più ai tempi della conquista che ha distrutto i vostri templi e i vostri giardini. So che la vostra cultura sotto molti aspetti era un modello, ma allo stesso modo vorrei che tu riconoscessi i suoi aspetti mostruosi, che i prigionieri di guerra dovessero seguire quella sorte…

MONTEZUMA: Che bisogno avremmo avuto altrimenti di fare le guerre? Le nostre guerre erano gentili e festose, un gioco in confronto a quelle vostre. Ma un gioco con uno scopo necessario: stabilire a chi toccasse coricarsi supino sull’altare nelle feste del sacrificio e offrire il petto al coltello d’ossidiana bandito dal gran sacrificatore. A ciascuno poteva toccare quella sorte per il bene di tutti. Le vostre guerre a cosa servono? Le motivazioni che tirate fuori ogni volta sono pretesti banali: le conquiste, l’oro…

CALVINO: Oppure il non lasciarci dominare dagli altri, il non fare la fine che avete fatto voi con gli spagnoli. Se voi aveste ucciso gli uomini di Cortez…Dirò di più, sta a sentire bene quello che ti dico Montezuma, se li aveste sgozzati a uno a uno sull’altare dei sacrifici, ebbene in questo caso avrei capito, perché era in questione la vostra sopravvivenza come popolo, come continuità storica.

MONTEZUMA: Vedi come ti contraddici uomo bianco? Ucciderli…io volevo fare qualcosa di più importante ancora: pensarli. Se riuscivo a pensare gli spagnoli, a farli entrare nell’ordine dei miei pensieri, a essere sicuro della loro vera essenza, dei o demoni maligni non importa, o esseri come noi soggetti a poteri divini o demoniaci. Insomma, a farne da inconcepibili come erano, qualcosa su cui il pensiero potesse fermarsi e far presa. Allora, solo allora avrei potuto farmene degli alleati o dei nemici, riconoscerli come persecutori o come vittime.

CALVINO: Per Cortez tutto era chiaro invece, questi problemi lui non se li poneva. Sapeva quel che voleva lo spagnolo…

MONTEZUMA: Per lui era come per me, la vera vittoria che si sforzava di ottenere su di me era quella: pensarmi.

CALVINO: E ci è riuscito?

MONTEZUMA: No, può sembrare che abbia fatto di me quel che ha voluto. Mi ha ingannato molte volte, saccheggiato i miei tesori, usato la mia volontà come scudo, mi ha mandato a morire lapidato dai miei sudditi. Ma non è riuscito ad avermi, ciò che io ero è rimasto fuori dalla portata dei suoi pensieri, irraggiungibile. La sua ragione non è riuscita ad avvolgere nella sua rete la mia ragione. È per questo che tu torni a trovarmi nelle rovine del mio impero, dei vostri imperi. È per questo che vieni a interrogarmi dopo quattro secoli e più dalla mia sconfitta non siete più sicuri d’avermi vinto. Le vere guerre e le vere paci non avvengono sulla terra ma tra gli dei.

CALVINO : Montezuma, ormai mi hai spiegato perché era impossibile che voi vinceste. La guerra tra gli dei vuol dire che dietro gli avventurieri di Cortés c’era l’idea dell’Occidente, la storia che non si ferma, che avanza inglobando le altre civiltà, quelle per cui la storia si è fermata.

MONTEZUMA: Anche tu sovrapponi i tuoi dei ai fatti. Che cos’è questo che tu chiami “la storia”? Forse è solo la mancanza d’un equilibrio. Mentre dove la convivenza degli uomini trova un equilibrio duraturo, là dici che la storia s’è fermata. Se con la vostra storia foste riusciti a rendervi meno schiavi, ora non verresti a rimproverare me di non avervi fermato in tempo. Cosa cerchi da me? Ti sei accorto di non sapere più che cos’è la vostra storia e ti chiedi se non poteva avere un altro corso. E secondo te, quest’altro corso avrei dovuto darglielo io, alla storia? E come? Mettendomi a pensare con la vostra testa? Anche voi avete bisogno di classificare sotto i nomi dei vostri dei ogni cosa nuova che sconvolge i vostri orizzonti e non siete mai sicuri che siano veri dei o spiriti maligni e non tardate a caderne prigionieri. Le leggi delle forze materiali vi appaiono chiare, ma non per questo cessate d’aspettare che dietro a esse vi si riveli il disegno del destino del mondo. Sì, è vero, in quell’inizio del vostro sedicesimo secolo forse la sorte del mondo non era decisa. La vostra civiltà del moto perpetuo non sapeva ancora dove stava andando come oggi non sa più dove andare e noi, le civiltà della permanenza e dell’equilibrio, potevamo ancora inglobarla nella nostra armonia.

CALVINO: Era tardi! Avreste dovuto essere voi aztechi a sbarcare presso Siviglia, a invadere l’Estremadura! La storia ha un senso che non si può cambiare!

MONTEZUMA: Un senso che gli vuoi imporre tu, uomo bianco! Altrimenti il mondo si sfascia sotto i tuoi piedi. Anch’io avevo un mondo che mi reggeva, un mondo che non era il tuo. Anch’io volevo che il senso di tutto non si perdesse.

CALVINO: So perché ci tenevi. Perché se il senso del tuo mondo si perdeva, allora anche le montagne di teschi accatastate negli ossari dei templi non avrebbero avuto più senso e la pietra degli altari sarebbe diventata un banco da macellaio imbrattato di sangue umano innocente!

MONTEZUMA: Così oggi guardi le tue carneficine, uomo bianco?

The deatch of Emperor Montezuma – Charles Ricketts (1927)

Questa intervista è la trascrizione della puntata del programma radiofonico Interviste impossibili trasmessa il 6 settembre 1974.

Michele Iovinella

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